mercoledì 9 novembre 2011

In viaggio sul Beagle

«Ehi, Capitano!»
«Cosa c’è Charles?»
«Come va?»
«Va. Tu piuttosto?»
«Sto bene, ho vomitato subito dopo pranzo ma ora niente più nausee».
Robert FitzRoy sorrise. Il giovane non si era ancora abituato del tutto alla vita di mare, ma la sua tenacia era ammirevole. Lui stesso all’inizio aveva creduto che non sarebbe riuscito a portare avanti il viaggio: il moto oscillatorio del veliero gli procurava continui malesseri e in pochi mesi aveva perso diversi chili. Tuttavia, superato il primo periodo di smarrimento, Charles si era mostrato determinato a continuare l’impresa e si lamentava il meno possibile. Avrebbe fatto strada, ne era certo. Aveva il piglio deciso di chi affronta la vita di petto, oltre ad un’inesauribile curiosità per tutto ciò che gli stava intorno. Be’, forse quella era addirittura eccessiva, pensò fra sé il Capitano. Quando non era a terra impegnato in escursioni e studi se lo ritrovava sempre intorno, desideroso di condividere con lui le sue riflessioni e, soprattutto, di rivolgergli le domande più disparate.
«Senta, signor FitzRoy, stavo pensando…»
“Ecco, appunto”.
«Charles, dovresti pensare un po’ meno. Ti fa male alla salute» gli disse sorridendo.
«Fa parte del mio lavoro, Capitano. E poi non è stato lei a chiedere di avere in dotazione uno studioso per questo viaggio? Ecco il prezzo da pagare. Deve aiutarmi a fare chiarezza, a dipanare i miei dubbi» ribatté scherzoso il giovane.
«Mannaggia a me! Dimmi Charles, ti ascolto»
«Ecco, pensavo, ha poi riflettuto su ciò che le avevo detto giorni fa? Parlo della mia idea riguardo alla formazione delle Ande»
«Non molto, a dire il vero»
«Be’, comunque io sono andato avanti con le mie supposizioni»
«Ne sono felice. E scommetto che mi vuoi rendere partecipe». Il Capitano FitzRoy usava un tono sarcastico, a volte, ma lo faceva solo per mascherare la curiosità e il piacere sottile che in realtà provava durante quelle conversazioni. Il giovane Darwin lo sapeva bene, per questo non se la prendeva.
«Dove eravamo rimasti? Ah, sì: il terreno si è sollevato in seguito al terremoto di Concezione, non ci sono dubbi. Purtroppo il successivo maremoto ha cancellato molte tracce e non ho potuto constatarlo di persona, ma tutti gli abitanti da me interpellati l’hanno confermato: zone in precedenza sommerse dall’acqua in seguito alle scosse sono affiorate»
«Sono d’accordo Charles, lo sai. Io stesso sull’isola di Santa Maria ho scoperto quegli strati di conchiglie al di sopra di tre metri rispetto ai segni lasciati dall’alta marea, ne abbiamo parlato più volte. Ed entrambi sappiamo che quella zona ha subìto numerosi terremoti di grave entità»
«Già. Pensandoci, mi pare chiaro che il terreno, venendo sollevato, sia inevitabilmente soggetto ad una tensione. Ed è questa tensione che, a mio parere, genera le frequenti scosse, poiché ad un certo punto essa diventa insopportabile e si creano delle rotture negli strati della Terra. E poi…»
«E poi?»
«Ecco, parallelamente a ciò, io ritengo che in tali fratture si inseriscano rocce fluide, le quali, terremoto dopo terremoto, contribuiscono alla formazione di rilievi. Se le scosse si verificano spesso - e in questa zona sappiamo che è proprio così - si può ipotizzare il sollevamento di catene montuose elevate. Mi pare quindi corretto considerare questa come la possibile origine della Cordigliera Andina»
«È una teoria interessante» 
«Così sembra. Ma i punti oscuri sono ancora molti»
«Be’, allora chiariscili, cerca ulteriori prove a sostegno dei tuoi ragionamenti. E tienimi al corrente degli sviluppi».
I due rimasero assorti, ciascuno perso nelle proprie riflessioni. Passarono minuti intrisi di silenzio. Fu il giovane Darwin a interromperlo:
«Ci pensa mai?»
«A cosa?»
«Al terremoto, al maremoto, a Concezione. Non dal punto di vista scientifico, intendo».
Il Capitano non rispose. Ci pensava, sì. E a volte certe immagini fatte di angoscia e desolazione lo tormentavano nei sogni. Forse per Charles era lo stesso. Forse non l’aveva cercato per discutere ancora della sua complessa teoria, ma solo per avere l’occasione di condividere con lui un po’ di pensieri bui.
«È un sì?»
«Cosa?»
«Questo suo silenzio. È un sì?».
FitzRoy annuì col capo.
Il Beagle navigava sotto il cielo plumbeo e i loro animi si accordavano a quell’atmosfera cupa.
«Continua a studiare, Charles. Forse un giorno il tuo lavoro servirà ad evitare il ripetersi di certe disgrazie»
«Lo crede davvero? Perché ci sono stati momenti, quando eravamo a Concezione, in cui ho pensato che era terribile stare lì ad analizzare i fatti in modo meramente scientifico. Voglio dire, mettersi a fare congetture non ha risolto nessuno dei problemi di quella gente»
«Cos’altro potevi fare?»
«Niente, appunto. È questo senso d’impotenza che mi opprime»
«Ci dovrai convivere. Fa parte della vita, ed è una sua componente ineluttabile»
«Già».
I loro sguardi si persero a osservare il mare. Quell’acqua così scura e profonda, così pericolosa quando si sollevava durante un maremoto. Eppure così amica quando cullava il vascello trasportandolo in luoghi lontani.
Navigavano da giorni in direzione delle isole Galapagos e a bordo del Beagle tutti cominciavano ad essere impazienti. Attendevano ansiosi di avvistare la terraferma.
Un grido dall’albero maestro interruppe il turbinìo di pensieri di FitzRoy e Darwin.
«Laggiù si vede qualcosa Capitano!»
«Cioè?»
«Be’, direi che ci siamo, sembra un isolotto».
Charles guardò FitzRoy con un luccichìo negli occhi. L’idea di potersi lanciare in nuove scoperte faceva rinascere in lui il buonumore.
«Forza, Capitano, c’è bisogno di noi!».
Davanti a loro l’isola Chatham. Attendeva materna l’arrivo del Beagle e del suo equipaggio.


Se vi fa schifo, per favore, non ditemelo. ;-)

1 commento:

Peggy Lyu ha detto...

Non fa assolutamente schifo! Anzi...mi è venuta tanta curiosità su come continuerà la storia...
Bravissima! Premio più che meritato!